L’ex ministro dell’Economia greco presenta il suo nuovo progetto politico: “Mi piacerebbe attrarre il maggior numero di democratici di tutti i tipi” di MATTEO PUCCIARELLI
MILANO. La crisi greca non è finita, anzi. “Tsipras sta percorrendo un vicolo cieco e lui lo sa benissimo”, assicura l’ex ministro all’Economia greco Yanis Varoufakis. È in Italia per il lancio ufficiale del Diem25, a Roma, mercoledì prossimo. In collegamento ci saranno Bernie Sanders e Julian Assange, tra gli altri. Se il movimento riuscirà a cambiare le sorti della politica europea non lo sa nessuno, di sicuro la sua intenzione è bypassare l’attuale sinistra. In Italia, per dire, le chiavi le ha affidate al 31enne Lorenzo Marsili, fondatore di Europe Alternatives.
Come e perché è nato Diem25? È un partito?
“L’idea è nata l’estate scorsa, subito dopo la disfatta della “primavera ateniese” e l’eclatante fallimento dell’Europa nel rispondere in modo unito ed umano alla crisi dei rifugiati. In questo contesto, vogliamo essere la risposta collettiva che migliaia di europei oppongono al palese stato di disintegrazione dell’Unione Europea, una disintegrazione che gioverà solo alla misantropia, al razzismo e al nazionalismo reazionario. L’unica risposta possibile per evitare un epilogo del genere è democratizzare le istituzioni della Ue tramite la formazione di un movimento transnazionale e pan-europeo, che spinga i cittadini democratici provenienti da ogni nazione e partito ad unirsi ed agire insieme”.
Cosa fa di Diem25 un movimento diverso da tutti gli altri movimenti e partiti europei? Non c’era già la sinistra europea di Syriza, Podemos, Sinn Fein e così via?
“I partiti nazionali e regionali sono e rimarranno importanti. Ma riteniamo che il modello dei partiti nazionali che formano fra loro fragili alleanze nel parlamento europeo sia incapace di affrontare la crisi sistemica che l’Europa sta attraversando e i suoi cinque sintomi: la crisi del debito, la crisi bancaria, le crisi causate da investimenti al palo, la crisi data da povertà e diseguaglianze in aumento, e infine, il razzismo che le prime quattro crisi hanno canalizzato in un panico collettivo e una crisi morale riguardante il fenomeno della migrazione e dei rifugiati. Queste sono le crisi che stanno mettendo a repentaglio l’Europa oggi e che i partiti nazionali, legati ad un elettorato nazionale, non possono e non riusciranno ad affrontare e superare”.
Che tipo di azioni politiche intraprenderete nella pratica?
“La nostra assemblea romana, ad esempio, presenterà una petizione chiedendo che tutti i processi decisionali a livello dell’Unione Europea siano resi pubblici ed esposti al vaglio dei cittadini europei, che gli incontri del Consiglio Europeo, Ecofin, Eurogroup e così via diventino accessibili. Lo stesso per i protocolli del Ttip”.
Ora che il movimento sta per essere lanciato in Italia, quali sono i vostri referenti nel nostro paese?
“Un movimento non sceglie i propri membri o attivisti. Sono loro a sceglierlo. Non ci interessa cooptare partiti politici o fazioni degli stessi dentro Diem25. Mi piacerebbe attrarre il maggior numero di democratici di tutti i tipi, arricchendo il movimento con diverse prospettive ideologiche, unite nella lotta comune contro un’Europa che rischia di scivolare in uno scenario postmoderno ma simile per certi versi a quello degli anni ’30”.
Cosa ne pensa rispetto alla crisi dei rifugiati che sta scuotendo i paesi dell’Unione Europea?
“Il panico morale, la paura, l’attitudine “non nel mio giardino”, le tattiche di scarica barile che abbiamo testimoniato nei mesi scorsi, con l’eccezione della coraggiosa postura di Angela Merkel, tutte queste reazioni irrazionali saranno ricordate in futuro come sintomi della crisi morale e della perdita dell’integrità europea. Quando qualcuno bussa alla nostra porta nel mezzo della notte, spaventato, ferito, affamato e con i propri figli disperati a carico, dobbiamo semplicemente aprire le porte, senza nessuna analisi dei costi e benefici, senza cercare di respingerli verso il nostro vicino. Il fatto che abbiamo fallito in questo compito dimostra, a mio avviso, un disagio più profondo. L’Europa è un edificio le cui fondamenta sono state smantellate dall’interno da una terribile crisi economica che ha aizzato i nazionalismi”.
Senta ma la moneta unica secondo lei è un tabù infrangibile per la sinistra?
“Le monete sono strumenti. Sono mezzi per un fine. Se diventano tabù, feticci fini a se stessi, allora hanno cambiato ruolo, da strumento dell’uomo, a suo padrone. La mia visione sull’euro è che è stato ideato erroneamente, e che dato questo errore iniziale, avremmo fatto meglio a non introdurlo. Ma questo è diverso dal dire che dovremmo abbandonarlo una volta entrati a far parte dell’eurozona. Oggi, la disintegrazione dell’eurozona porterebbe serissimi disagi su tutto il continente. Perciò ripeto da molti anni che coloro che criticano più aspramente l’euro hanno il dovere politico e morale di cercare di migliorarlo”.
Ma vi sentite ancora con Tsipras?
“No. Non credo che avrebbe molto da dirmi. Detto questo, sono felice di poter dire che non abbiamo mai interrotto i rapporti, o litigato. È molto importante per me che tra compagni si mantenga una relazione umana e civile anche quando le divergenze sono feroci”.
Se Tsipras le chiedesse di tornare a fare il ministro accetterebbe?
“Lei capisce, sicuramente, che una tale richiesta da parte di Tsipras significherebbe un radicale rifiuto da parte del governo greco dei termini di resa firmati il 31 luglio 2015…”.
A proposito di Grecia, l’austerità calmierata di Tsipras funziona?
“Io temo che lei sia male informato. Non c’è niente di “calmierato” nel programma di austerità importo dalla troika su Tsipras e sull’economia e società greca. L’aumento dell’Iva sulla maggior parte dei beni, l’aumento delle tasse sul commercio, la richiesta che tutte le piccole imprese paghino le imposte relative al commercio con un anno di anticipo, i tagli sulle pensioni supplementari, i licenziamenti di massa negli aeroporti regionali… tutte queste misure orrende garantiscono un’accelerazione della crisi del debito e della deflazione”.