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La Grecia tradita dall’Europa: farà default – interview with F. Simonelli, for MediTelegraph

12/12/2014 by

Screen Shot 2014-12-12 at 11.57.26 AMAtene – Yanis Varoufakis, stimato economista dell’Università di Atene, ha sempre avuto opinioni fuori dal coro. Sin dall’inizio della crisi greca, nel 2010-2011, ha messo in guardia sul fatto che non si trattasse di un problema locale, ma di una crisi sistemica dell’eurozona

Atene – Yanis Varoufakis, stimato economista dell’Università di Atene, ha sempre avuto opinioni fuori dal coro. Sin dall’inizio della crisi greca, nel 2010-2011, ha messo in guardia sul fatto che non si trattasse di un problema locale, ma di una crisi sistemica dell’eurozona. Ha ripetuto che le soluzioni fornite da Bruxelles, dall’Fmi e dalla Bce, non avrebbero funzionato. E ne ha proposto di alternative. L’ultima in ordine di tempo: che la Banca Europea per gli Investimenti e il Fondo Europeo per gli Investimenti finanzino un grosso piano infrastrutturale europeo emettendo bond. E che la Bce compri questi bond, evitando di incorrere nel problema di dover finanziare direttamente gli Stati. In questo modo, dice, avremo un piano di stimolo da un trilione spalmato su due-tre anni. Lo abbiamo raggiunto al telefono a Austin, alla University of Texas, dove insegna oggi, per chiedergli una sua impressione dopo il “martedì nero” di Atene.

Professore che sta succedendo con la Grecia, siamo tornati indietro di due anni?

«In effetti non è cambiato niente. Nell’ultimo anno e mezzo c’è stato un tentativo generale di dipingere la Grecia come se avesse svoltato finalmente l’angolo, se si fosse ripresa economicamente e avesse risolto i suoi problemi principali, dovuti alla bancarotta del settore pubblico, di quello privato e delle banche. Chiaramente tutto questo non è mai successo, c’è stato solo un tentativo, messo in atto dalla Germania e dalla Banca Centrale Europea, di fingere che il problema greco fosse risolto. Ma quando i problemi non si risolvono davvero a un certo punto riemergono, ed è quello che succede ora. È piuttosto chiaro che il debito greco non è ancora sostenibile, che il settore privato è schiacciato e che la ripresa di cui si parlava non è mai arrivata».

Possiamo dire che in qualche modo la politica europea è rimasta cieca rispetto a questo problema e che per rimetterci tutti di fronte alla realtà è servita una giornata di panico sui mercati?

«Sì, e soprattutto quello che mi sembra importante che i lettori italiani capiscano è che la Grecia non è Il Problema . Nella mia opinione infatti l’Italia è nella stessa identica situazione, è insostenibile. L’Italia ha la fortuna di avere un buon export, ha un surplus primario di oltre il 2% e nonostante ciò il rapporto debito/pil sta andando fuori controllo. Ecco, quando un Paese come l’Italia, al centro dell’eurozona, è in una situazione del genere, la Grecia diventa solo un problema collaterale, una “small potato” direbbero gli americani. Tutto ciò dà però a noi europei la possibilità di affrontare la realtà, ovvero la crisi sistemica dell’eurozona».

Crede che a un certo punto saremmo obbligati a parlare di unione fiscale?

«Succederà, che lo vogliamo o meno. Quando la Grecia farà default, e lo farà, probabilmente non in maniera formale, ma con un taglio del debito greco nei confronti del resto dell’Europa, dopo poco seguiranno l’Italia e poi la Spagna e il Portogallo. Ecco questa è già una specie di unione fiscale: quando uno Stato ha avuto in prestito dagli altri e non è in grado di ripagare al tasso concordato, è una specie di unione fiscale, ma di una specie terribile, un’unione fiscale per default».

Cosa servirebbe?

«Ridisegnare l’architettura dell’eurozona in maniera terapeutica, in un modo che migliori i problemi invece che peggiorarli».

Lei crede che negli ultimi 4 anni di cura somministrata dalla Troika alla Grecia qualcosa sia migliorato o è stato tutto un fallimento?

«Non c’è dubbio che sia stato un fallimento, ma anche nei fallimenti totali alcune cose migliorano. Lo Stato greco per esempio ora è in controllo delle sue finanze e della sua spesa, c’è stata una digitalizzazione di numerosi servizi, quelli fiscali, o il sistema per le prescrizioni mediche. Non c’è dubbio che siano stati fatti dei progressi, ma tutto ciò non mi impedisce di concludere che la situazione complessiva è tragica».

Lei crede che potremo prima o poi vedere un cambio di approccio economico-politico da parte di Bruxelles, con una Commissione che, nei fatti, è ancora più conservatrice di quella precedente?

«Io credo che uno degli effetti dell’eurocrisi è che la commissione sia diventata abbastanza senza unghie. C’è stato uno slittamento di potere dalla Commissione a Berlino e Francoforte. Solo per fare un esempio: l’annuncio di trecento miliardi di euro di investimenti da parte di Juncker che di fatto si risolve in nulla o quasi. Ecco, diciamo che Jacques Delors in una situazione del genere io non me lo immaginerei».

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